Sacha Modolo ha annunciato il proprio ritiro e ha appeso la bicicletta al chiodo al termine del Giro del Veneto. Il 35enne ha salutato dopo tredici stagioni da professionista, con all’attivo due vittorie di tappa al Giro d’Italia (nel 2015) e complessivamente 47 successi da professionista. Il veneto ha iniziato la sua carriera con la Colnago, poi è passato alla Lampre nel 2014 e nel 2017 alla UAE, prima di indossare le casacche di EF Education First e Alpecin-Fenix. Nell’ultima annata agonistica aveva scelto la Bardiani-CSF-Faizanè e l’ultimo successo risale al 16 settembre al Giro del Lussemburgo.
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Sacha Modolo è stato ospitato a Bike2U, la trasmissione di Sport2u, la web tv di OA Sport, condotta da Gian Luca Giardini e Francesca Cazzaniga. L’ex ciclista si è soffermato sulla propria carriera: “Da professionista ho capito che il ciclismo poteva diventare la mia professione. Non dico che è facile vincere nelle categorie giovanili, ma ne vedevi tanti che stravincevano tra gli under e poi faticavano tra i pro’. Io sono rimasto con la testa sulle spalle e ho sempre pensato che approdare tra i professionisti non era un punto di arrivo, ma uno di partenza. Mi ricordo la prima corsa. Faticai tanto in salita: io da dilettante ho vinto anche gare dure e invece tra i professionisti mi ricordo il salto. Mi sono però adattato subito, ho fatto quarto posto alla Sanremo e ho capito che avrei potuto fare qualcosa“.
Interessante il passaggio sui mutamenti di questo sport: “Il ciclismo è cambiato totalmente da quando sono diventato professionista, soprattutto negli ultimi quattro-cinque anni. Prima il ciclismo era molto più gestibile personalmente, ognuno si gestiva a casa propria, e invece ora è tutto più scientifico da parte della squadra. Il team ti dice cosa fare. Io mi ricordo i primi allenamenti che facevo a Treviso, eravamo una quindicina e facevamo tre ore, invece ora ognuno ha una tabella da seguire. Ho capito che qualcosa cambiava in EF, ma poi in Alpecin ho capito che prima facevo tutto sbagliato“.
Sacha Modolo ha analizzato più nel dettaglio alcuni episodi della propria carriera: “Qualche rimpianto? Ni. Non ho mai voluto vincere ottanta corse l’anno, mi accontentavo di quando riuscivo a battere i big una volta, ma poi magari non ero continuativo. È sempre stato un mio modo di interpretare la vita. Se da giovane avessi battuto il ferro quando era caldo avrei potuto fare di più. Dal 2017, quando mi sono concentrato sulle mie vere caratteristiche, ovvero non da velocista ma da uomo da Classiche, sono iniziate le mie peripezie. In UAE, nel 2017, tutti mi dicevano che non ero solo un velocista e allora da quell’inverno ho cercato di capire se ero più di un velocista: feci una preparazione per le Classiche del Nord, visto che mi piacevano, e andò bene perché ad Arenberg mi ero mosso bene, alla Gand-Wevelgem avevo fatto decimo e al Giro delle Fiandre arrivai sesto. Io poi ero andato in EF con l’obiettivo di fare bene nelle Classiche del Nord, ma è stato un po’ un declino dovuto a motivi fisici“.
Non mancano i ricordi sui momenti più belli e quelli più difficili: “Dal 2011-2012 fino al 2017 male o bene vincevo abbastanza durante tutto l’anno. C’è stato l’exploit del 2014 dove ho vinto in Svizzera battendo Sagan su uno strappetto, superandolo all’esterno curva, fino alle due tappe del Giro d’Italia 2015 dove avevo un bel treno. Quello è stato un bel periodo e lo ricordo molto bene. Le sconfitte le ho sempre vissute bene, la sconfitta per me era quando non potevo fare più quello che volevo, come nel 2018-2019 quando mi staccavo e non capivo neanche il perché“.
Sacha Modolo è passato pro’ con una Professional e si sofferma proprio su questo aspetto, sul panorama attuale e sui giovani: “All’epoca potevo permettermi di crescere quattro-cinque anni alla Bardiani. Al primo anno ho fatto quarto alla Sanremo perché Reverberi mi ha dato fiducia, magari in una World Tour non avrei nemmeno partecipato. In quegli anni si poteva ancora crescere, c’erano progetti a lungo termine. Ora non ce ne sono, se a 25-26 anni non hai ancora ottenuto risultati rischi di smettere. Non ci sono più i mezzi corridori, che magari hanno bisogno di più tempo per emergere, magari si perdono. Il problema dei giovani di adesso, a differenza dei miei tempi, è questa: io ho vinto tanto da giovane, nessuno mi ha messo pressione, nessuno mi ha detto che ero il nuovo Cipollini o il nuovo Petacchi; ora invece quando qualcuno va appena forte in salita è il nuovo Nibali. Noi correvamo più a cuore leggero, ora non è così. Ora è difficile fare il ciclista, più di quanto lo era per noi. Sono sempre impegnati con il ciclismo, per noi non era così, anche i periodi di stacco erano più lunghi”.
Un passaggio sul ritiro: “Ho sempre vissuto il ciclismo a modo mio, mai da malato. Quando pensavo al ritiro pensavo che non avrei fatto drammi, ma ora è arrivato quel momento e penso che la vita da ciclista è bella. Mi dà fastidio non aver potuto decidere io quando smettere: mi sono trovato a ottobre senza una squadra, non dico che avrei voluto continuare ma se avessi saputo di smettere quest’anno avrei fatto una fine migliore, avrei chiamato i miei fan all’ultima gara e via dicendo”.
L’ex ciclista ha parlato anche del suo futuro: “Ora inizia una nuova vita, ma io non ho un obiettivo e per me è importante averne. Adesso sono un po’ spiazzato: mi sono trovato a ottobre senza squadra e ora sono nel limbo di tante proposte, non ho nulla di concreto e non so cosa fare. Se riesco a fare qualcosa che mi piace e che mi fa alzare al mattino contento allora sono felice, sto cercando di trovare un impegno che mi faccia divertire. Ho un paio di cene per vedere qualche progetto, vediamo. A me piace andare in moto, mi sto prendendo un po’ di sfizi di cose che prima non potevo fare. Vorrei aiutare la provincia di Treviso a trovare nuovi talenti, a scovare giovani interessanti“.
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