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SHIMANO AL GIRO D’ITALIA, VENTI ANNI DI STORIE E ANEDDOTI


Più della metà dei team che nel 2022 corrono il Giro d’Italia #105 sono equipaggiati Shimano. Per essere precisi il computo parla di tredici squadre su ventidue, con i restanti nove team che adottano la componentistica degli altri due grandi “player” della componentistica trasmissione, ovvero Sram e Campagnolo.

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Il record di Shimano

In realtà, quello messo a segno dalla celebre Casa nipponica alla corsa rosa non è certo un record.

Semmai il record è che – quanto meno da un punto di vista numerico – sono quasi trenta anni che Shimano segna il predominio nell’equipaggiamento del ciclismo “che conta”: a metà dei Novanta il marchio orientale effettuò il sorpasso su quello che all’epoca era il grande protagonista della componentistica per trasmissione per l’agonismo, ovviamente Campagnolo, che da quel momento in poi vide scendere la sua presenza quantitativa nel gruppo, appunto a favore di Shimano.

La parola a un decano tra i meccanici

«È facile parlare di bene di Shimano negli anni Novanta. Superava tutti gli altri sia per materiali, ma soprattutto per tecnologia»: a parlare è uno che la meccanica e il professionismo quegli anni li ha vissuti in prima persona, Stefano Del Re, toscano, classe 1958, ha lavorato per ben ventuno anni come meccanico dei team professionistici, e su questo ha scritto anche un libro, “Dietro le quinte nel mnondo delle due ruote. Storie e aneddoti nel mondo del ciclismo professionistico (2021).

Stefano del Re, meccanico dei pro dal 1983 al 2004

Il suo periodo d’oro Del Re lo ha vissuto negli anni di quel fatidico “sorpasso” della Shimano sulla Campagnolo. In tutta la sua carriera con i professionisti ha quasi sempre messo mani su bici equipaggiate Shimano.

Stefano del Re ha disputato 14 Giri d’Italia, Tour de France e 2 Vuelta Espana

Quei maniaci di giapponesi

«Nel 1986 fummo i primi in Italia a utilizzare Shimano, con la GIS Oece con cui correvano Contini, Baffi e Petito. Loro erano maniacali – dice Del Re riferendosi ai responsabili Shimano -, roba che noi italiani non eravamo mai stati abituati a vedere. Ricordo che nel 1986 alla squadra fu accorpato un ingegnere giapponese, Akira bando. Al Giro d’Italia di quell’anno era con me in camera d’albergo. Ricordo che ogni sera faceva tardissimo, perché analizzava attentamente i componenti usati il giorno in corsa. Quasi ogni giorno si faceva dare qualche pezzo che era stato usato per poi spedirlo direttamente in Giappone, per farlo analizzare dai suoi colleghi». 

Se il deragliatore non funziona

Un giorno, al Giro, successe che il deragliatore di capitan Contini non ne voleva sapere di risalire, ovvero di riportare la catena sulla corona grande: «Akira si dannò a capire cose fosse. Prese il pezzo e lo spedì in Giappone. E solo dopo mi accorsi che il giorno prima Silvano (Contini, ndr) si era agganciato in volata con un altro corridore, per questo gli si era un po’ piegato il supporto del deragliatore… I giapponesi l’esperienza la facevano tutta sul campo. Rubavano con gli occhi in casa d’altri e poi rifacevano anche meglio degli altri». 

Del Re (a sx) con Silvano Contini

Ed effettivamente sappiamo che è sempre stato così, sin da quando Shimano ha cominciato a mettere timidamente il piede nel mondo delle grandi corse, all’inizio dei settanta. Avvicinarsi con rispetto o quasi timore reverenziale verso le altre case concorrenti, vedere, osservare capire e poi proporre la propria soluzione. 

Montaggi “abusivi” nel 1983

Ancor prima della GIS Oece del 1986, tra i corridori delle squadre italiane già si diceva diffusamente delle qualità e delle funzionalità di questi componenti che venivano dal Giappone, questi che già dal 1984 ci potevi montare il “39” e non il “42” come corona minima, questi che già da tanti anni adottavano un pratico mozzo “a cassetta”, che i sei rapporti montati alla ruota li potevi sostituire in un baleno, diversamente da quel che succedeva per gli ingranaggi su ruota libera.

Stagione 1983: la scritta “Campagnolo” campeggia sulla maglia di Moser. Ma qualche volta il trentino usava Shimano….

La fama era tale che, ancor prima della prima ufficiale con la GIS Oece, c’era chi i componenti Shimano li usava di nascosto: «Ricordo bene, era il 1983. – racconta Del Re Alla FAM Cucine di Moser sulle maglie avevano scritto “Campagnolo”, ma la maggior parte dei corridori incluso il capitano Moser usavano Shimano… Usavano il gruppo AX , quello tutto aerodinamico, con dei particolari freni a tiraggio centrale e con una guarnitura che integrava i cuscinetti dei pedali. Ricordo bene, a vederla sembrava roba dell’altro mondo per noi che eravamo abituati ai tradizionali componenti».

IL gruppo Dura-Axe AX, ispirato alla aerodinamica

La “rivoluzione” siglata 7400

I componenti Shimano diventano ancora più ambiti dei professionisti quando la Casa giapponese a fine 1984 rilascia il suo gruppo trasmissione da competizione più longevo, il Dura-Ace di generazione 7400.

La prima – ma non certo l’unica – innovazione di questo reparto era il sistema di gestione indicizzato delle leve cambio al telaio, ovvero con una progressione “a scatti” tra un ingranaggio e l’altro e non a frizione come era fino a quel momento: «I corridori erano contentissimi, l’indicizzazione ti toglieva tante problematiche che c’erano con la cambiata a frizione. Significava tanti validi secondi in meno, che alla fine facevano la differenza».

Magici comandi “a scatto” 

Tant’è, il comando indicizzato diventerà la regola in pochi anni, ed anche Campagnolo due anni dopo brevetterà un sistema simile. E pensare che quella prima generazione di comandi indicizzati di Shimano avevano anche l’opzione di funzionamento “libero”, ovvero a frizione.

Sì, perché forse per timore di non incontrare subito i gusti e le abitudini dei corridori, il manettino di destra aveva un selettore che permetteva di impostare la cambiata a frizione: «Ma i corridori questa funzione non la usavano mai, salvo quando, e questa era una cosa utilissima, capitava loro di prendere la ruota dall’assistenza neutrale. Perché poteva capitare che questa avesse cinque velocità anziché sei, e in quel caso il meccanismo a frizione garantiva la perfetta compatibilità tra le parti».

Due anni da spettatore

Nel 1989 e il 1990 Del Re passa alla Del Tongo-Mele Val di Non del Campione del mondo Maurizio Fondriest e di Franco Chioccioli. In quelle due stagioni la sua squadra è equipaggiata Campagnolo.

Nel 1989 l’australiano Phil Anderson fu il primo a testare il prototipo di una leva freno molto particolare…. (dal libro “100 anni di storia Shimano”)

Per questo le novità importanti licenziate a quei tempi da Shimano il “nostro” meccanico se le può solo guardare da spettatore, ancorché privilegiato: «Fu Amedeo Colombo, che commercializzava Shimano in Italia, che per primo ce li portò a vedere durante il Giro dell’89. Erano grossi, con forme spartane, ma funzionavano perfettamente. Tlac, tlac, frenavi e cambiavi contemporaneamente. Una meraviglia». Ovviamente Del Re si riferisce ai primi comandi cambio integrati nelle leve freno, i famosi STI, Shimano Total Integration.

Giro d’Italia 1989, il vicepresidente Shimano Keizo Shimano è “spettatore” d’eccezione: ha in tasca il prototipo del nuovo, rivoluzionario comando integrato STI (dal libro “100 anni di storia Shimano”)

I comandi STI rivoluzionavano il modo di gestire e azionare le cambiate molto più di quel che quattro anni prima aveva fatto l’introduzione del sistema indicizzato.

Forse tanti sanno che Gianni Bugno della Chateau d’Ax fu il primo ad utilizzare (in corsa) quei comandi durante il suo strepitoso Giro 1990 (maglia rosa dalla prima all’ultima tappa), probabilmente pochi ricordano che in tutte le squadre equipaggiate Shimano, in quella stagione, tutti i corridori chiesero fortemente quel componente, tanto che a fine 1990 i “manettini” al telaio erano praticamente scomparsi nei team Shimano. 

Comandi da meraviglia

Per Del Re il 1991 è anno del passaggio alla Ariostea del “sergente di ferro” Giancarlo Ferretti.

Ed è l’anno del ritorno a Shimano: «Ci equipaggiavano Shimano e Colnago. Dapprima Ernesto ci dava telai in acciaio, poi, dal 1992, anche telai in carbonio come la Carbitubo o addirittura in titanio, come la Bititan. Erano bici favolose. Non so dire quanti gruppi ci mandava Shimano. Pensava a tutto Colnago, che ci dava le bici complete».

Grazie a Shimano, ma anche grazie a Campagnolo che nel frattempo aveva licenziato il suo sistema di comandi integrati chiamate Ergopower, la componentistica dei primi anni Novanta traghetta progressivamente il gruppo verso canoni e concetti più moderni, ma di sicuro nulla a che vedere con quello che è il plotone oggi: «Credimi, e a qualche persona che è ancora nell’ambiente lo dico pure, posso garantire che sono contento di non essere più in gruppo, oggi fare il meccanico in un team professionistico è una cosa a dir poco complessa, complessa per i mille standard che devi considerare, complessa per i tubeless, ma prima di tutto complessa per i freni a disco».

Con Gianni Bugno

Velocità (e complessità) aumentano

Ma anche a quei tempi le complessità non erano poche, magari di genere e tipo diverso, ma mettevano comunque pressione ai meccanici chiamati a preparare le “macchine” degli atleti e soprattutto a gestire le emergenze in corsa. Sempre per rimanere in “Casa” Shimano: «Nel 1996, quando la Ariostea era diventata MG, Shimano introdusse il Dura-Ace 7700, un gruppo leggerissimo nonostante avesse una velocità in più, che da otto diventavano nove. L’organizzazione della squadra era cosa ben diversa da quello che poteva succedere dieci anni prima, ai tempi della GIS. Shimano ci dava circa 120 gruppi completi, oltre a tutta una nutrita serie di ricambi come corone, leve freno, ingranaggi. La media era di quattro bici a testa per corridore, per una squadra che già all’epoca aveva 27 corridori, ovvero più o meno come un grande team World Tour oggi».

Fabio Baldato, con il Dura-Ace 7700 al Tour 1996

Poi, appunto, a stagione in corso arrivò il nuovo Dura-Ace 7700: «Ma il problema fu che arrivò in estate, in numero non sufficiente a equipaggiare tutto il team. Così, al Tour di quell’anno solo quattro big lo avevano, mentre tutti gli altri continuavano a montare il vecchio 7400. È per questo che in ammiraglia dovevamo avere doppie ruote posteriori pronte a risolvere le eventuali forature di Bartoli, Baldato, Richard e Elli che avevano il “9” e altre ruote a “8” per tutti gli altri. Un vero impazzimento».

Il flop dei pedali SPD-R

Nella seconda metà dei Novanta Shimano ha largamente superato il “concorrente” storico Campagnolo nel numero di team equipaggiati.

Ma già da qualche tempo i competitor del marchio giapponese non sono solo produttori di componenti trasmissione, ma anche produttori di altre parti o accessori, prime tra tutte i pedali e le scarpe.

Le scarpe hanno sempre rappresentato un asset importante per Shimano, e in questo caso la ragioni del successo sono da ricercare in quella filosofia che ha sempre considerato la progettazione della scarpa come intimamente legata al pedale, che alla prima doveva essere intimamente legato.

Assieme allo standard SPD, Shimano progetto sin da subito delle calzature dedicate: le prime erano da mtb, siamo nel 1990.

È stato così per la prima, storica, scarpa e pedale da mtb con sistema di aggancio a sgancio rapido, e sarà così anche per il “sistema scarpa” con cui Shimano prova a metà Novanta a smarcare la concorrenza del concorrente storico di quel segmento, la francese Look, con il suo pedale con tacchetta “Delta” che era la più amata tra i corridori: «All’inizio i pedali a sgancio rapido di Shimano da strada erano realizzati su licenza Look e adottavano lo stesso design e la stessa tacchetta. Erano praticamente dei Look e ricordo che i corridori chiedevano di utilizzare i pedali di serie Ultegra, perché diversamente dai Dura-Ace permettevano di regolare il flottaggio laterale».

A metà Novanta le cose cambiarono, perché Shimano volle fare il suo standard di pedale da strada, l’SPD-R. ma questa volta ci furono dei problemi: «Chi si lamentava degli SPD-R erano tutti quei corridori che utilizzavano quel pedale calzando scarpe non Shimano. In tutti quei casi l’interfaccia tra le parti non era perfetta, di conseguenza non garantiva il massimo della trasmissione di potenza. Servivano allora spessori e adattatori, che ai corridori complicavano solo la vita o procuravano dei nervi. Utilizzare quei pedali lì con scarpe non Shimano era come mettere le scarpe su una caramella rispetto a chi usava Look… ».

Con la Fassa Bortolo, che ha sempre usato il Dura-Ace di generazione 7700.

Integrazione di sistema: sempre

In realtà, il problema degli SPD-R era un non problema, e per risolverlo bastava affidarsi semplicemente al messaggio di Shimano, che già ai tempi predicava l’integrazione di sistema e concepiva l’abbinamento ingegneristico tra componenti come strada maestra per ottenere il massimo delle prestazioni. 

Sono concetti che rappresentano il credo di Shimano ancora oggi, e che anzi con la componentistica attuale sono decisamente rafforzati, concetti che ci ancora una volta ci ricordano quanto sia sempre stato avanti il “colosso nipponico”.  

a cura di Maurizio Coccia Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata

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