Quest’anno ha deciso di appendere la bicicletta al chiodo dopo una carriera da incorniciare: Tony Martin è stato una delle stelle del ciclismo tedesco in questo nuovo millennio con le sue quattro affermazioni nel Mondiale a cronometro, oltre a diversi successi in tutti e tre i grandi giri e varie vittorie in altre corse World Tour.
Il fenomeno teutonico ha annunciato lo stop a 36 anni, ma ieri al GCN Cycling Show ha spiegato che i motivi del ritiro non sono solo riguardanti l’età che avanza. Le sue parole: “Quest’anno mi sono trovato per due volte sull’ambulanza e ho cominciato a pormi delle domande, ‘Sei papà di due bambini, ne vale la pena?’. Negli ultimi due o tre anni al Tour de France sono sempre stato un po’ timoroso, non pauroso, ma timoroso che potessi finire a terra. Credo che adesso ci sia molto stress, molto nervosismo anche nelle corse meno importanti, e tutto questo determina grandi cadute. Ci sono sempre più cadute, sempre più corridori devono abbandonare le gare a causa delle cadute e io non volevo più correre tutti questi rischi“.
La sicurezza sta venendo a mancare nel ciclismo: “Credo che non si possa chiedere ai corridori di non prendere dei rischi dovete capire che noi corridori ci alleniamo 250 giorni all’anno per raggiungere i massimi livelli, per cui quando siamo in corsa non puoi chiedere a un atleta di frenare prima. Ci saranno sempre dei corridori che freneranno all’ultimo, ci saranno sempre dei rischi, è impossibile aumentare la sicurezza intervenendo in questo modo. Se rendessimo le strade un po’ più sicure o almeno i punti più critici, credo che un bel po’ di cadute verrebbero evitate“.
Parole anche sul Giro di Polonia 2020, con l’assurda caduta del miracolato Fabio Jakobsen: “Mi chiedo come si faccia a mettere un arrivo in discesa dove si va ad ottanta all’ora, se l’arrivo fosse stato diverso la caduta non sarebbe stata così orribile. Se avessimo eliminato questo arrivo in discesa e magari quelle transenne, che non erano le migliori, credo che la stessa caduta sarebbe stata normale, una di quelle che vedi cinquanta volte l’anno. Qualcuno magari si sarebbe fatto male, ma certo non sarebbe successo quello che è successo a Jakobsen“.
L’invito è chiaramente per l’Unione Ciclistica Internazionale: “Credo che delle volte possa essere anche semplice intervenire sull’aspetto della sicurezza, per cui mi arrabbio molto quando vede che l’UCI arriva a emettere delle regole abbastanza sciocche come il proibire la posizione del ‘super tuck’ in discesa. Ok, fatelo pure, ma a me sembra di capire che sia un modo per lavarsene le mani e dire ‘Sì, abbiamo fatto qualcosa per rendere le gare più sicure’. Onestamente, non ho mai visto un corridore cadere perché utilizzava la posizione del ‘super tuck’ in discesa”.
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