Il Tour de Pologne 2020 verrà ricordato sicuramente per il grave incidente occorso a Fabio Jakobsen. Per fortuna, in questi giorni le condizioni di salute corridore della Deceuninck-QuickStep sembrano migliorare sempre di più, tanto che domani tornerà in Olanda, ma un lieto fine non può esonerarci dal fare delle considerazioni su quanto accaduto nella prima tappa della corsa polacca.
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Corsi e ricorsi storici: neanche a farlo apposta, nel 2019, sempre nella prima tappa, ci fu un altro terribile incidente. Quella volta le cose andarono peggio: Bjorg Lambrecht, corridore della Lotto-Soudal, ha perso la vita sulle strade della Polonia.
Ma tralasciamo ciò che è accaduto lo scorso anno: nella prima tappa del Giro di Polonia 2020, Dylan Groenewegen stringe contro le transenne Fabio Jakobsen. Le transenne non fanno il loro dovere: invece di reggere l’impatto, crollano. Vengono giù con una facilità disarmante. Ma la cosa ancora peggiore è un’altra: il rettilineo di arrivo della prima tappa del Tour de Pologne è posizionato a fianco di una ferrovia. Il povero Jakobsen vi finisce in pieno dentro dopo il terribile impatto con le transenne.
Vi è poi da notare anche che le transenne sulla linea del traguardo non sono quelle alte due metri, quelle che gli organizzatori delle grandi corse a tappe e delle grandi classiche di un giorno sono costretti a mettere poco prima e poco dopo il traguardo. Al Giro di Polonia ci sono delle transenne normalissime, che cadono come se fossero dei birilli.
Molte persone, addetti ai lavori e non, hanno paragonato l’incidente tra Groenewegen e Jakobsen a quello accaduto tra Mark Cavendish e Peter Sagan al Tour de France 2017. In quella circostanza, però, Cavendish non finì in terapia intensiva in ospedale, perché le transenne hanno fatto il loro lavoro.
Appurato questo, bisogna anche dire che Dylan Groenewegen non è innocente: per lui ci sarà una squalifica ed è giusto che paghi. Ma se l’arrivo della prima tappa del Tour de Pologne non fosse stata organizzata in questo modo, a quest’ora staremmo parlando di uno dei tanti episodi che viviamo nel mondo del ciclismo, e non di un fatto così grave, con un corridore che fino a pochi giorni fa lottava tra la vita e la morte.
E’ per questo motivo che, alla luce di questo incidente, crediamo sia opportuno che l’Unione Ciclistica Internazionale faccia sentire la propria voce non solo sospendendo Groenewegen, ma anche revocando la categoria World Tour al Tour de Pologne. Secondo il nostro punto di vista, infatti, non è possibile che sia il solo Groenewegen a pagare per tutti: lui ha sbagliato, e per questo pagherà, ma hanno sbagliato anche gli organizzatori ad allestire un traguardo del genere. Perché loro non devono pagare?
Se l’UCI tiene davvero alla sicurezza dei corridori, crediamo che togliere la licenza World Tour al Giro di Polonia sia un segnale forte anche per altri organizzatori, che devono adeguarsi a degli standard organizzativi molto alti. I corridori non sono carne da macello: e in tutto questo mi rendo anche conto che tutte quelle associazioni che fanno la voce grossa in termini di sicurezza, in primis il CPA di Gianni Bugno, si ritrova inerme di fronte a questa situazione. Si parla sempre di sicurezza, adesso è il momento di fare qualcosa di concreto. Questo può essere davvero un segnale per far capire al mondo intero che l’UCI ha a cuore anche la salute dei corridori.
Le parole di Gianni Bugno sono emblematiche: “La sorte avversa, purtroppo, può essere sempre dietro l’angolo e la differenza tra la vita e la morte la fa il comportamento degli uomini. Chi sbaglia – in primis chi autorizza le competizioni e gli organizzatori – deve pagarne le conseguenze. Non devono più esistere tragedie come quella che, quasi un anno fa, ha portato via ai suoi cari l’Under 23 Giovanni Iannelli, morto dopo la caduta in una volata in cui si lamentano gravi mancanze organizzative. Sicurezza per tutti i corridori: queste non devono restare solo parole“.