Training Camp Spagna Costa Blanca
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dove si allenano i campioni del Tour de France, Giro d'Italia e Vuelta Espana
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Porre un limite. Siamo giunti alla dodicesima tappa della Vuelta a España 2022 e la corsa a tappe iberica, ancor più di quanto fatto dai corridori sui pedali, sta risentendo delle “iniziative” di qualcosa di sgradito: il Covid. Il conto dei ciclisti costretti a lasciare la gara viene aggiornato di giorno in giorno e gli ultimi della lista ad aver salutato sono stati l’olandese Boy van Poppel dell’Intermarché-Wanty Gobert e il colombiano Santiago Buitrago della Bahrain Victorious.
Facendo un rapido conto aritmetico, il bilancio dei ritiri per questa causa è salito a 19. Una situazione preoccupante che potrebbe avere ulteriori conseguenze sull’evoluzione della Vuelta. Alcuni ciclisti, tra cui il leader Remco Evenepoel, hanno messo in dubbio l’efficacia della prevenzione fatta dall’organizzazione.
Per questo la domanda che tanti si fanno è: se la maggior parte dei corridori usciti di scena ha sintomi lievi, è giusto privarli della competizione? E l’utilità di fare i test tutti i giorni? A Cycling Weekly alcune testimonianze sono arrivate. E’ il caso del belga Dries Devenyns della Quick Step: “Se continuiamo con i test, la cosa è impossibile da gestire. Se facciamo gli esami ogni giorno, almeno uno o due corridori dovranno ritirarsi. Per noi è complicato tenere la situazione sotto controllo, se poi fuori dalla ‘bolla’ tutti si comportano in modo normale. Magari dovremmo iniziare a dargli meno importanza? Mandate a casa il corridore se sta male, altrimenti trattate la cosa come se fosse una malattia normale“.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’olandese Mike Teunissen della Jumbo Visma: “All’interno delle squadre stiamo facendo davvero tutto quello possiamo. Ma sono le cose che non sono nel nostro controllo che ci stanno ‘uccidendo’, come spostarci su un aereo tutti insieme. Ogni squadra aveva sul volo del trasferimento 12-13 persone, fra corridori e staff, e gli aerei erano pieni. Tutti avevano le mascherine, ma il vero problema è che il giorno dopo salta fuori un positivo che era sull’aereo insieme a te. Cosa dovremmo fare? Non sta a me deciderlo. Io posso dire che tutti vedono che la vita ormai è tornata alla normalità, com’era prima, ma sembra che questo non sia il caso del ciclismo“.
A cura della redazione di Inbici Magazine e OA Sport partner– Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata
Basta test privi di senso a giovani atleti senza sintomi, basta protocolli, isolamento, bolle e mascherine all’aperto (l’ambiente del ciclismo è forse l’unico in Europa dove si vedono ancora). Le uniche cose sensate da fare. Possibilmente da subito, per quanto mi riguarda questa maniera di affrontare il covid come se fossimo ancora nel 2020 non aveva senso già a maggio durante il Giro d’Italia, figuriamoci ora. E’ una malattia ormai banale che tutti prima o poi prenderemo se non l’abbiamo già presa, e i ciclisti professionisti sono quanto di più lontano si possa immaginare da una persona fragile, questi protocollli e test a tappeto sono una totale assurdità.